IVa Coppa del Mare (7 Agosto 1927)
In attesa della Coppa del Mare gli sportivi livornesi non rimanevano inattivi ed il 1°aprile la salita del Gabbro ospitava nuovamente, su un percorso allungato, il Campionato sociale, aperto nell'occasione alle biciclette a motore ed alle moto. Nelle biciclette a motore faceva la sua apparizione uno smilzo giovanottino livornese che sarebbe stato designato a scrivere grandi pagine nella storia sportiva cittadina e nazionale: Federigo Susini, il quale si imponeva facilmente con la sua MM nella classe
dei mezzi più leggeri. Fra le moto il successo arrideva a Renato Simoncini con la Bianchi davanti al vincitore dell'anno precedente Gargani, mentre Nencini e Carocci si ritiravano sul percorso per incidenti.
1927 - 1 aprile
Campionato Sociale A.M.C. Livorno
Org.: Auto-Moto Club Livorno
Salita del Gabbro (6,005 km)
Biciclette a motore
1) SUSINI Federigo, su MM 8'18"2/5 (media 43,380 km/h);
f.t.m. ZUCCHELLI Manlio BG 11'11".
Motociclette
1) SIMONCINI Renato, (Bianchi) 7'55"4/5 (media 45,435 km/h)
2) GARGANI Mario, FN
La quarta edizione della Coppa del Mare, valida quale settima prova del Campionato Italiano Esperti, fu una gara emozionante, satura di imprevisti e sorprese, a confermare ancora una volta come su un tracciato quale il Montenero, che disputava al Lario il titolo di Tourist Trophy italiano con le sue oltre cento curve, la potenza avesse un'importanza molto relativa, ma che i coefficienti
primari dovessero essere l'abilità del guidatore, e magari anche la prudenza avesse un giusto peso. Per l'edizione del 1927 è necessario però fare alcune premesse: il paese aveva ormai raggiunto una stabilità politica che ne permetteva il rilancio, lo sport era ovviamente uno dei cardini di questa ripresa e le rivalità sportive, abilmente orchestrate dalla stampa nella quale aveva un ruolo primario Bruno Roghi, direttore de "La Gazzetta dello
Sport" e cugino carnale di Tazio Nuvolari, proiettavano la passione sportiva alle stelle. Semmai il problema veniva dal fatto che le case motociclistiche, che dal governo fascista ricevevano notevoli attenzioni, escludevano della cerchia dei piloti ai quali affidare una moto ufficiale tutti quelli non graditi al 110% al regime, perciò piloti di grande valore si vedevano escludere a priori dalla possibilità di lottare con mezzi superiori. E' ovvio che il regime aveva bisogno dei campioni sui quali costruire la sua propaganda esattamente così come i campioni avevano bisogno del regime per emergere, magari non si trattava quindi di una vera convinzione politica, quanto di un tacito business agreement fra le due parti. Fra i piloti che soffrivano invece questa situazione il grande Mario Barsanti: nato a Firenze il 11 luglio 1897 e passato al motociclismo nel 1923 dopo gli inizi automobilistici e la tragedia nella quale aveva perso la vita il padre Roberto nel 1921 durante la disputa del chilometro lanciato alle Cascine di Firenze. I giovani fratelli Barsanti, Mario e Dino, erano così stati forzati ad abbandonare ogni attività sportiva per assumere le redini dell'azienda familiare. Il carattere dei Barsanti, non apertamente
antifascista, ma con qualche manifestazione anarcoide tenne fuori del giro "buono" Mario Barsanti che trovò però il suo Pigmalione in Mario Visciola, titolare della Mara (Moto Accessori Ricambi Affini) con sede in Via dei Servi a Firenze, che importava in Italia diverse moto inglesi, alcune praticamente sconosciute in Italia, come la Cotton, la Ivy, la Dot, la Connaught, per approdare
finalmente alla Chater Lea 350 Camshaft Super Sports una moto costruita a Londra e dalle caratteristiche sportive, caratterizzate dall'albero a camme verticale a fianco del cilindro sul quale erano alloggiate, una sopra l'altra, le due camme "a disco" ruotanti orizzontalmente il profilo delle quali azionava i bilancieri delle valvole. La Chater Lea, realizzata dal grande tecnico d'Oltremanica Dougal Marchant, aveva acquistato una certa notorietà nel 1924 conquistando sulla pista di Brooklands, la "Speed Mekka" inglese, alcuni record mondiali per la classe 350
ed affidata alle grandi doti di guida di Mario Barsanti nonchè all'abilità tecnica del fratello Dino, mostrò anche in Italia di poter contrastare le moto ufficiali, che Barsanti impensierì in ogni occasione, riuscendo spesso ad avere la meglio in gara.
A Livorno Mario Barsanti, popolarissimo fra gli appassionati toscani, si trovò di fronte tre grandissimi piloti che non erano certo disposti a cedere il passo a nessuno e soprattutto volevano primeggiare l'uno sull'altro: Tazio Nuvolari in sella alla Bianchi 350 "Freccia Celeste", convintissimo delle enormi possibilità che il tracciato poco favorevole ai motori potenti offriva alla sua moto; poi Luigi Arcangeli, il "Leone di Romagna" difensore della Sunbeam, che stava attraversando un eccezionale periodo di forma, ed infine Achille Varzi alfiere della Guzzi, bramoso di vincere insieme agli avversari anche la sfortuna che aveva caratterizzato le ultime uscite delle moto di Mandello Lario.
Su un percorso come quello del Romito l'infuocata rivalità fra questi tre piloti, ulteriormente esasperata dalla Stampa, lasciava prevedere una battaglia sportiva incandescente, ma era anche facile prevedere un'ecatombe meccanica causata dalla lotta furibonda.
Così la domenica 7 agosto il percorso che dall'Ardenza arrivava al Romito attraverso Montenero ed il Castellaccio per completare il giro attraverso la costa ed Antignano era punteggiato da una cornice di pubblico in una policroma sinfonia di costumi balneari frammisti ad eleganti abiti da passeggio.
Anche i servizi di ordine pubblico lungo il percorso sia per la corsa che per gli allenamenti erano stati particolarmente curati ed il Podestà precisava in una lettera agli organizzatori che:
"... nell'interesse di pubblica utilità è fatto obbligo di:
1) tenere la destra;
2) vigilare e tenere per mano i bambini;
3) condurre legati i cani:
4) attenzione nel traversare le strade".
Vedremo come tali disposizioni, perfettamente logiche anche se oggi possono sembrare ovvie e quasi comiche, rimarranno una costante per tutta la storia della gara livornese ripetendosi anno dopo anno, per essere poi riprese circa trent'anni più tardi, nell'organizzazione del massacrante Giro Motociclistico della Toscana con partenza da Piazza San Marco a Livorno, dove prima
esisteva il posteggio dei barrocci.
Piuttosto per gli organizzatori Livornesi era pesantissimo il peso dei "portoghesi", non solo per gli spettatori che trovavano il sistema di raggiungere il circuito con lunghe marce attraverso i boschi ed i campi del Castellaccio, ma anche per il continuo assedio alla sede di Via G. Verdi in caccia di un biglietto gratis,
tanto che anche il quotidiano cittadino "Il Telegrafo" scherzava su quella che l'articolista definiva la "Sagra dei Portoghesi" con queste righe:
"E' incredibile il numero di coloro - persone, spesso, rispettabili e non prive di mezzi - che vogliono "passare gratis".
- Potrei avere un biglietto?
- Si immagini, ma lei chi e?
- Io sono .....
E giù titoli, onoreficenze, benemerenze. Manca però il titolo principale: Sbafatore.
E' un vero assedio quello che va stringendosi attorno alla sede di Via Giuseppe Verdi a cominciare dai primi d'Agosto. Qualcuno o qualcuna, più previdente, tenta gli approcci iniziali a metà luglio."
Ventisei partenti risposero all'appello ed alle 9 del mattino iniziarono le partenze in linea, classe per classe con le varie classi separate da un minuto; il gruppo delle 500 era il primo a prendere il via, quindi alle 9 e 1 minuto le 350, alle 9 e 2 minuti le 250 ed infine, alle 9 e tre minuti le 175.
Subito Nuvolari si lanciava come un indemoniato sul percorso, affrontando le curve con un'audacia impressionante e divorando le rivali della classe superiore per presentarsi alla conclusione del primo giro al comando del carosello, inseguito tenacemente dalle 500 di Varzi Mario Colombo e Luigi Quattrocchi con le Sarolea, Nello Ricci con la Norton, "Gigione" Arcangeli con la Sunbeam
ed Amilcare Moretti con la seconda Bianchi 350. I due giri iniziali vedevano Mario Barsanti costretto a fermarsi ai box per "fastidiosi problemi" alla sua Chater Lea, con il fratello Dino impegnatissimo a cercare una soluzione che fu trovata solo dopo che l'asso fiorentino aveva già accumulato quasi venti minuti di ritardo sullo scatenato leader. Dopo cinque giri di furiosa battaglia la gara
vedeva Nuvolari al comando assoluto seguito da Varzi ed Arcangeli, che sembrava tergiversare nell'attesa delle fasi finali. Nella 350 alle spalle del mantovano viaggiava Edoardo Self con la Frera, quindi Moretti e solo quarto Barsanti che, con una rimonta furibonda, aveva ridotto il distacco a circa tredici minuti da Nuvolari. Fra le 250 le fiorentine Moto Piana stavano dominando la gara mentre fra le piccole 175 l'indiavolato Tonino Benelli, con
la moto di famiglia, si era insinuato spavaldamente fra le
avversarie di maggior cilindrata. La furibonda battaglia aveva intanto già mietuto diverse vittime, prima il senese Bargagli abbandonava con Carlo Baschieri (GD 125) e Francesco Severi (Velocette 350), quindi al quinto giro abbandonavano Renato Simoncini (Bianchi 350) e Mario Colombo; e le vittime erano destinate ad aumentare.
Al settimo giro si fermavano, con le moto stremate Amilcare Moretti e Nello Ricci. All'ottava tornata, che sarebbe stato il giro conclusivo per le due categorie inferiori, arrivava la notizia del ritiro di Arcangeli per la rottura del filo dell'acceleratore, il giro finale era fatale anche al bravissimo Federico Castellani, che con la piccola GD 125 occupava la seconda posizione nella classe 175
rimasto vittima di una foratura che danneggiava anche il cerchione impedendogli di ripartire. Anche Loris Vignoli con la Piana 350 era costretto all'abbandono.
I giri conclusivi presentavano cosi il furioso duello Nuvolari-Varzi, ma il fato era in agguato. Il Campione della Bianchi entrava velocemente ai box alla fine dell'ottavo giro con il filo dell'acceleratore rotto all'attacco della manopola del gas; Varzi, alla vista del rivale ai box accelerava imperiosamente e Nuvolari veniva travolto dal raptus della lotta, rinunciava a riparare il guasto e ripartiva alla caccia del rivale tenendo il filo con la
mano, una posizione decisamente poco comoda su un tracciato come il Montenero. Ma il furor pugnandi dei due fierissimi avversari accecava entrambi, che ruzzolavano rovinosamente nel corso del nono giro: Nuvolari si fratturava la clavicola, Varzi si procurava una profonda ferita all'avambraccio sinistro. A quel punto al comando della gara si veniva a trovare Edoardo Self, ma la Frera del pilota anglo-varesino non resisteva all'incalzare di Mario Barsanti e della sua Chater Lea ed era costretta ad arrestarsi con il motore fumante. Barsanti si trovava così al comando della gara e terminava vittorioso una gara che sembrava per lui segnata dalle disavventure iniziali e che aveva saputo raddrizzare con l'aiuto della sorte, e vero, ma anche e soprattutto con l'incredibile tenacia con la quale si era gettato nella battaglia fino a riguadagnare posizioni su posizioni per trovarsi al posto giusto al momento giusto.
Alle spalle di Mario Barsanti si classificava Luigi Macchi con la Frera, dopo una gara tutta improntata alla regolarità che avrebbe portato il pilota varesino al titolo tricolore della 350. Fra le 500 l'unica moto arrivata alla fine era così la Sarolea dell'ingegnere messinese Luigi Quattrocchi, anch'egli campione a fine stagione
che concludeva la gara livornese con una media ridicola superata nettamente non solo dalle 350, ma anche dalle piccole 175 e 250, che avevano coperto però solo otto giri contro i dodici delle classi maggiori.
Proprio le 175 erano state le grandi protagoniste della gara, con l'invincibile Benelli di Tonino Benelli superato alla fine solo dalle 350, sulla cui media pesavano però come un macigno i due disastrosi giri iniziali di Barsanti. Alle spalle di Benelli si era messa in luce la piccola GD 125 del fiorentino Umberto Bernardoni, che precedeva l'altra Benelli di Riccardo Brusi e la MM del livornese Federigo Susini. La Piana, con Gualtiero Piana, Mario Moradei e Nello Benelli, infliggevano una solenne batosta alle rivali Guzzi nella 250, solo quarta con il collaudatore Arrigo
Cimatti, destinato però a conquistare a fine stagione il titolo tricolore, una batosta che sarebbe stata il preludio a quella ben più pesante che l'anno successivo la moto fiorentina avrebbe inflitto alle Aquila di Mandello nella gara di casa, al Circuito del Lario. Nuvolari e Varzi erano stati grandissimi, ma erano rimasti entrambi vittime di una mancanza di lucidità nel momento decisivo, una specie di orgasmo allorchè l'accecante luce del trionfo già balenava davanti ai loro occhi. Fra l'altro Nuvolari
sarebbe stato costretto a masticare amaro anche nella Coppa del Montenero automobilistica, quando la sua Bugatti veniva nettamente superata dalla Talbot di Emilio Materassi, al suo terzo successo consecutivo.
L'organizzazione della gara era stata impeccabile; ordine e disciplina avevano regnato ovunque anche quando il pubblico, dopo gli abbandoni di Nuvolari e Varzi, aveva cominciato a sfollare verso il traguardo per acclamare il vincitore. La vittoria di Mario Barsanti venne festeggiata calorosamente e lo stesso Costanzo Ciano insistette per congratularsi personalmente con il vincitore, del quale conosceva i trascorsi di Capo Motorista durante la 1a Guerra Mondiale presso la base navale di Taranto sui
Mas, proprio quelle veloci Motosiluranti che erano stati l'arma prediletta dall'eroe di Buccari per le sue audaci imprese contro la marina austriaca.
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