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VIa COPPA DEL MARE (1930) |
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VIa Coppa del Mare (27 Luglio 1930) Il gran lavoro svolto nelle edizioni precedenti portò infine la meritata ricompensa agli appassionati organizzatori dell'Auto Moto Club Livorno. La sesta edizione della Coppa del Mare veniva promossa a Gran Premio del Moto Club d'Italia, la più importante gara nazionale, seconda solo al Gran Premio delle Nazioni di Monza. La grande occasione portò a Livorno anche il Conte Alberto Bonacossa, presidente del Moto Club d'Italia ed autorevole esponente della FICM, che si prodigò in lodi per il superbo lavoro organizzativo del Comitato Organizzativo della gara livornese, costituito dal cavalier Emanuele Tron, presidente del AMC, e dai suoi diretti collaboratori per la sezione motociclistica, Gino Giubbilei, Alberto Salvadori, ragionier Alberto Filippi, Ferruccio Falleni, ragionier Mario Gargani e cav. uff. Gino Serafini, naturalmente affiancati dall'infaticabile avvocato Lodi-Focardi, Alto Commissario del Moto Club d'Italia e strenuo valorizzatore del motociclismo regionale. Pur ovviamente destinata ai piloti di Prime Categorie la gara livornese accoglieva finalmente un notevole numero di partenti che comprendeva anche tutti gli uomini migliori che il motociclismo italiano poteva mettere in campo, integrati da ottimi elementi locali. Dai campioni delle due ruote mancavano solo Pietro Ghersi e Luigi Arcangeli, entrambi ancora convalescenti delle ferite riportate in gare precedenti, ed alla fine sarebbe stata da registrare anche la rinuncia di Amedeo Ruggeri, escluso dal via perchè arrivato in treno a Livorno quando ormai le operazioni preliminari erano già state concluse. Malgrado che le sirene dell'automobilismo li avessero già ghermiti e sedotti, il clou della gara livornese era la rinnovata sfida fra Tazio Nuvolari con la Bianchi 350 Freccia Celeste ed il suo rivale di sempre, Achille Varzi ritornato in sella alla Sunbeam 500, la grande moto di Wolwerhampton che si imponeva su tutti i circuiti europei e con la quale lo stesso Varzi aveva sbaragliato gli avversari al Gran Premio delle Nazioni della stagione precedente. Ma al fianco delle due stelle della gara si schieravano un gruppo di piloti ben decisi a non essere confinati sullo sfondo della grande manifestazione livornese, ampliando così l'interesse per una gara già interessantissima e il cui pathos venne ancor più amplificato da un paio di imprevisti che calamitarono subito l'interesse dei tantissimi spettatori. Protagonista, al solito, Tazio Nuvolari che, schizzato a razzo all'abbassarsi della bandiera dello starter, dopo pochi chilometri dalla partenza abbordava con troppa foga una curva ed usciva di strada, fortunatamente senza conseguenze, ma perdendo in ogni modo un paio di minuti per rimettersi in corsa. Cosi gli appassionati che al termine del primo giro si aspettavano di vedere al comando Nivola, restarono un attimo smarriti nel vedere transitare davanti a tutti Mario Barsanti incalzato da Amilcare Moretti e con Nuvolari solo terzo distaccato di circa tre minuti. Interessantissima la presenza di Mario Barsanti in sella alla Motosacoche messagli a disposizione dall'importatore per l'Italia Luigi Minonzio, vecchio campione dell'epoca pionieristica della moto e fedelissimo della marca elvetica, alla quale era nel frattempo approdato come progettista proprio quel Dougal Marchant che aveva realizzato la Chater Lea portata tante volte al successo da Barsanti e che conosceva così le grandi doti dell'asso fiorentino. La moto messa a disposizione di Barsanti era il modello da corsa tipo A35, caratterizzato dal grande serbatoio piegato verso il basso nella parte posteriore, particolare che, visto l'insolito color giallo brunastro della moto e la forma appunto del serbatoio, aveva fatto ribattezzare le moto in tutta Europa come "the flying bananas" cioè le banane volanti; la nuova moto vantava circa 25 CV nella versione di 350cc, ma l'affidabilità del mezzo non era proprio la sua qualità migliore, appunto perchè Marchand, geniale come progettista, non aveva poi la pazienza di dedicarsi allo sviluppo delle moto da lui realizzate; inoltre il progettista aveva abbandonato a fine 1929 la Motosacoche per accasarsi in Belgio alla FN, ed il suo sostituto, Herbert Le Vack, era impegnato nello sviluppo dei nuovi modelli. In Italia le Motosacoche vennero ribattezzate come Frecce Gialle da opporsi appunto alle Frecce Celesti della Bianchi ed alle Velocette inglesi, le Frecce Nere. Con questa moto Mario Barsanti avrebbe conquistato, un mese e mezzo più tardi, una grande vittoria al Gran Premio delle Nazioni a Monza, ed è appunto divertente rilevare come sulle inserzioni pubblicitarie che festeggiavano l'avvenimento Luigi Minonzio avrebbe fatto scrivere che "... la Freccia Gialla ha trionfato... sbaragliando le formidabili èquipes montate sulle frecce di tutti i colori". Purtroppo a Livorno la Motosacoche di Barsanti, appena consegnata al pilota fiorentino, era un po' a corto di preparazione, e questo sarebbe costata la gara all'asso toscano. Appena Barsanti e Moretti avevano visto in difficoltà Nuvolari si erano lanciati a testa bassa in una battaglia entusiasmante; al primo giro transitava al comando Barsanti, seguito a pochi metri dalla Bianchi del rivale, poi al giro successivo era Moretti a condurre le danze, con il naso di Barsanti infilato nello scarico della sua moto. Un duello palpitante, con le due moto l'una in scia all'altra o addirittura affiancate per lunghi tratti. Il terzo e quarto giro videro ancora Barsanti al comando, ma poco dopo l'inizio del quinto giro, circa metà gara, la Motosacoche accusava qualche noia al motore ed iniziava a perdere terreno. Moretti al comando tirava allora a tutto spiano ben deciso a strappare la vittoria, ma Nuvolari si era avvicinato ed inseguiva con circa un minuto di distacco Moretti insisteva e guidava la gara ancora per due giri poi il dramma: a metà dell'ottavo passaggio, mentre stava doppiando un concorrente, questi si spostava improvvisamente e stringeva Moretti verso il muro sul lato sinistro della strada, il pilota milanese ruzzolava rovinosamente a terra, ferendosi ad un piede e ad una mano, risaliva in sella, ma poteva solo arrivare fino al box per ritirarsi definitivamente, affidandosi ai sanitari per le cure necessarie piangendo ed esclamando fra le lacrime: "Piuttosto di perdere avrei preferito morire". Nuvolari si trovava così la vittoria in mano, anche se la sua veemente rincorsa dopo lo scivolone iniziale era stata da antologia. Quello che alla vigilia era indicato come il più probabile antagonista di Nuvolari, Mario Ghersi con la sua Velocette, aveva fatto una buona corsa, mai però in lizza per la vittoria finchè, risalito fino al secondo posto per le disgrazie altrui era stato costretto a fermarsi a sua volta, lasciando la piazza d'onore al bravo Bruno Jacopini, Mario Barsanti, centellinando l'impegno del rantolante motore della sua Motosacoche come solo la sua sensibilità meccanica permetteva, resisteva al terzo posto, davanti alle Frera di Macchi e Pigorini, moto che si confermavano indistruttibili, ma nettamente meno veloci delle rivali. Ma per la prima volta nella storia della Coppa del Mare, nonostante le spavalde dichiarazioni di Nuvolari alla partenza, quando il mantovano aveva elogiato la sua moto affermando "Ho un motore che può tener testa a qualunque 500 ed oggi non dovrei faticar molto anche a fare il primo assoluto", la vittoria assoluta sfuggiva ad una 350, ed era finalmente una 500 ad imporsi nella classifica assoluta. Anche la gara delle mezzo litro fu avvincente, ed il favorito Achille Varzi trovò subito pane per i suoi denti nella velocissima Rudge "Ulster" di Attilio Cavalieri. Dopo il primo giro che aveva visto transitare Varzi al comando il pilota bresciano portava il suo attacco e minacciava decisamente Varzi che, per ben quattro giri, era costretto alle spalle del rivale scatenato, che frattanto aveva sgretolato il record sul giro, stabilendo quello che sarebbe stato il miglior tempo della giornata al quinto passaggio. Poi a metà del quinto giro la rottura della catena fermava l'azione di Cavalieri, e da quel momento Varzi aveva gara vinta, pennellando le mille curve del tracciato livornese con il suo stile freddo ed inconfondibile. Alle spalle dei due protagonisti si avvicendavano la Frera di Giusto Zaro, terzo per tre tornate, ma poi caduto nel corso del quarto giro. Subentrava allora l'altra Frera di Giovanni Broggi, ma alla fine era la seconda Rudge del forlivese Terzo Bandini, non in grande giornata, a conquistare il secondo posto precedendo la Sunbeam di Mario Colombo. Per le altre classi le Benelli 175 cancellavano subito ogni velleità dei rivali nella loro classe, dominando dall'inizio alla fine con Tonino Benelli che, partito favoritissimo confermava tutti i pronostici realizzando una vittoria cosi indisturbata e convincente da sembrare ordinaria amministrazione il fatto che una 175 spadroneggiasse in gara così, realizzando una media complessiva nettamente superiore a quella della categoria superiore e superando le 250 anche sul singolo giro. Alle spalle di Benelli un'altra moto di Pesaro, quella di Carlo Baschieri, superato solo nei due giri iniziali dalla moto analoga del livornese Giovanni Bientinesi, poi costretto al ritiro. Le attesissime MM di Amedeo Tigli e Guido Landi erano già fuori scena dopo il primo giro, con Tigli fermo dopo pochi chilometri con la guarnizione della testa bruciata e Landi ai box alla fine del primo giro per problemi di accensione. Primo Zini in sella alla Dkw usciva di scena per una caduta quando era quarto, per cui al terzo posto saliva il bravo Raffaele Alberti, ancora in sella alla vecchia Ancora che non poteva concedergli di più. Malgrado qualche noia al motore Mario Moradei portava al quarto posto la sua CF precedendo la GD del livornese Vittorio Nencini e la moto gemella di Ruggero Da Prato. La 250 vedeva schierate le due Ariel di Carlo Fumagalli e del gentleman Panarello, ammesso una tantum ad una gara di prima categoria, circondate da uno stuolo di Guzzi, fra le quali spiccava un decisissimo Riccardo Brusi, smanioso di debellare la sfortuna che aveva caratterizzato la sua stagione. Brusi partiva a razzo dominando la gara con la consueta abilità fino al quarto giro, quando il motore si rifiutava di proseguire e lo costringeva a fermarsi. La gara vedeva così vittorioso Felice Nazzaro, nipote del grande Felice Nazzaro che aveva guidato alla vittoria la Fiat del Conte della Gherardesca nel concorso automobilistico livornese del 1901 e cugino di quel Biagio Nazzaro idolatrato dalle folle motociclistiche del primo dopoguerra in sella alla Indian e deceduto in gara nel G.P automobilistico di Francia sul Circuito di Strasburgo nel luglio 1922. Nazzaro portava la Guzzi al successo davanti alla Ariel di Fumagalli, più agile, ma nettamente meno potente della moto del rivale. Al terzo posto un giovanissimo Amilcare Rossetti con la Guzzi. Una grande giornata di sport, che metteva ancora in risalto l'ottima organizzazione dell'Auto-Moto Club Livorno, dal servizio d'ordine a quello informazioni che alimentato incessantemente dai bravi cronometristi livornesi Piovella e Ghio, dispensava al pubblico le notizie sui passaggi quasi in tempo reale, grazie al gigantesco tabellone dei tempi che campeggiava sopra i box sul rettilineo d'arrivo. |